domenica 1 maggio 2011

Brigata Gramsci

Riceviamo e pubblichiamo:


Egregio Signor Sindaco Napoli, 1 maggio 2011

di Terni

Oggetto: Strada intitolata al partigiano Mario Filipponi

Egregio Signor Sindaco,

Mi riferisco all’argomento in oggetto per significarLe quanto segue,

Mio nonno, Maceo Carloni, fu prelevato la notte tra il 4 ed 5 maggio 1944 presso il casale della Valnerina dove, con mia nonna e tre dei quattro figli, tra cui mio padre, si era rifugiato per sfuggire ai bombardamenti angloamericani che colpivano con frequenza Terni. Nella scelta della casa, sita in località disabitata ed isolata, non ebbe dubbi, ritenendo che i suoi trascorsi fossero tali, per limpidità e per la dedizione alla classe operaia ternana, da poter escludere di avere nemici.

Lo sequestrò per assassinarlo una squadra della Brigata partigiana Gramsci che era reduce da appena un’ora dal massacro all’arma bianca di un altro padre di famiglia, ucciso con il suo cane che aveva voluto seguirlo, fuori dal cascinale dove anche lui era rifugiato con moglie e figlio. Il cane, squartato, fu gettato sul corpo evirato e vilipeso dell’uomo (Augusto Centofanti).

Le risparmio la descrizione di quello che successe a casa di mio nonno quella notte e non mi intrattengo sullo strazio che sostennero i miei congiunti per non apparirLe enfatico od alla ricerca di effetti suggestivi che possano crearLe ribrezzo od imbarazzo.

Le ho scritto con grande sacrificio perché la vita della nostra famiglia è stata marchiata in maniera irrimediabile da quello che è successo in quel lontano mese di maggio del 1944. Questo, dopo tanti anni di processi, ricordi e macerazioni, doveva essere il tempo per l’oblio di quell’orrore e per la serenità, almeno, dei figli dei nipoti di Maceo. La ferita, invece, con l’intitolazione della strada a Mario Filipponi, viene riaperta.

L’ho fatto per dirLe che il partigiano cui Lei e la Sua Giunta avete voluto riservare l’onore del nome di una via della città (che fu anche di Maceo Carloni, ed a cui Lui dedicò tutta la sua vita), come ben evidenziato dagli atti giudiziari che sono negli Archivi di Stato e tra le carte di famiglia, fu tra gli assassini di mio nonno. Maceo Carloni non aveva colpe e non aveva aderito alla Repubblica Sociale di Mussolini né si era schierato a favore dei tedeschi od aveva collaborato in alcun modo con le truppe dell’Asse. Il tutto è ampiamente comprovato; così come è documentato che la gran parte dei suoi assassini erano pregiudicati per reati contro il patrimonio e che razziarono casa, sottraendo al moribondo l’orologio da polso. Del moribondo, uno dei compagni di “battaglia” di Mario Filipponi, come sempre evidenziato dagli atti processuali, a dispetto di un nomignolo da bonaccione e della giovanissima età, si inorgoglì di aver bevuto il sangue caldo che sgorgava dalle ferite da arma da taglio con cui, anche da lui, era stato assassinato.

Distinti saluti.

fabrizio carloni

Dott. Fabrizio Carloni

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